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Giorgio Luzzi, valtellinese di nascita e torinese di adozione, riflette l'ibridismo geografico delle sue radici in una poesia addensata, ferrigna e scandita, intrisa di cultura mitteleuropea e oriunda. La sua è una voce lirico-narrativa (sia pure di una narratività elusa), plurilingue e plurisangue, la cui grana è un conclamato espressionismo dalle motivate "oscurità" di dettato e, al tempo stesso, carico di una forte tensione etica. I suoi versi, modellati da una fervida riflessione critica, accolgono un audace sperimentalismo linguistico e stilistico, mentre la studiata ironia rivela la lezione di Erba. La sua poesia evade così dal confine "lombardo" e si inserisce nel solco di quel robusto antisublime che altri maestri (da Sereni a Raboni, accogliendo anche le voci dei minori e persino dei minimi) hanno sviluppato in altre chiavi.