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Luigi Di Franco indaga le ragioni di come sorgano nuove istituzioni e strutture socio-politiche negli anni della Sicilia borbonica dal 1800 al 1860. Considerato dimensione provinciale, l'Ottocento siciliano resta fondamento per tanti processi in atto nelle vicende siciliane e italiane e ne struttura i modi nella modernizzazione contemporanea. Nel primo Ottocento il baronaggio, superando il patto con la monarchia, mira al controllo oligarchico sul potere regio e sulla stessa Costituzione siciliana del 1812. Invece la fine del sistema pattizio sancendo lo sviluppo del notabilato borghese aprirà nuovi orizzonti socio-economici nelle città siciliane. Il saggio storico, indagando i mutamenti politici e sociali dal 1799 al 1830 e dal 1837 alla rivoluzione del 1848, rileva il valore del 1848 come fine dell'egemonia del baronaggio nel contestuale rilancio della soluzione rivoluzionaria da tempo presente nei ceti popolari siciliani. In tal modo l'affermarsi, prima economico e poi politico, della borghesia permetterà il rinascere nell'800 del disegno di una nazione siciliana. Allo sviluppo produttivo agricolo e mercantile delle coste isolane, segno dell'ascesa borghese degli anni '20, farà seguito tra il '37 e il '48 un mutamento opera di nuove forze sociali attive anche nella Sicilia interna, come testimonia il prevalere borghese nelle due élites di Piazza e Villarosa nel vallo di Caltanissetta. La borghesia, operando contro l'immobilismo della tradizione, diventa la protagonista delle rivoluzioni del 1820-21 e del 1848, ma solo con la Rivoluzione del '48 si promuoverà come centro della classe dirigente politica nell'isola guidando sia le rivolte contadine chele guerriglie urbane. La borghesia, protagonista dell'assillo rivoluzionario, non solo legittimerà il proprio potere, sia col moderatismo che col democraticismo, ma nei nuovi vespri del 1860 raggiungerà il controllo della Sicilia.