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Introdotto nel 1863, all'indomani dell'unità e nel pieno della lotta contro il brigantaggio e del ripristino emergenziale e militaresco dell'ordine pubblico, il domicilio coatto diviene, nel tempo, un dispositivo stabile e un solido perno nel sistema delle misure preventive del nuovo Stato italiano. Da istituto provvisorio che era in origine, esso lascerà la scena solo nel 1926. Ma per rientrarvi, in effetti, col nuovo nome di confino di polizia e con tratti sostanzialmente immutati. Nella lunga durata del diritto penale autoritario, dall'Italia liberale a quella fascista, esso è l'emblema del pregiudizio e del sospetto, lo spauracchio agitato contro ogni, sia pur minimo, dissenso, il garante implacabile di un doppio binario di legalità penale. L'una, quella del Codice, edificata su un'idea di delitto che gravita verso i principi di colpevolezza, materialità e lesività; l'altra consegnata all'arbitrio poliziesco e alle urgenze dettate, di volta in volta, dall'agenda politica. Questa schizofrenia regolativa non si estingue del tutto, nonostante le tutele dei diritti individuali introdotte dalla Costituzione, nemmeno nell'Italia repubblicana.