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"Le terme, il vino, le donne: questa è la vita". L'iscrizione funeraria rende bene l'idea di come i Romani concepissero la propria esistenza: la soddisfazione dei piaceri era un elemento fondamentale della vita di ognuno. Ricchi e poveri erano dominati dalla stessa ansia di godimento e ogni classe aveva elaborato una propria "arte di vivere". Se il cittadino comune passava in media un paio di ore al giorno in luoghi pubblici come le terme o il foro, il Romano abbiente dava sfogo al proprio bisogno di appagamento sensoriale e sensuale all'interno di splendide dimore dai ricchi arredi e dai curatissimi giardini, offrendo sfarzosi banchetti in un clima di edonismo che sfociava spesso e volentieri nella dissolutezza. "I piaceri a Roma" racconta come, nell'epoca d'oro che va dal II secolo a.C. al II secolo d.C, preceduta dal prevalere di ideali di austerità e seguita dalle severe condanne morali del cristianesimo, gli antichi Romani riuscissero a manifestare senza ipocrisie la propria concezione godereccia dell'esistenza, conducendo una "dolce vita" che sembra riportarci alla credenza secondo cui progenitrice della civiltà romana fosse la stessa Venere, divinità del piacere per eccellenza.