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Nell'Italia del dopoguerra la stampa era monopolizzata dai laici, liberali e non; la radiotelevisione sembrava quindi l'unica ribalta a cui i cattolici potevano accedere. Credettero di farne un pulpito formativo per una nuova generazione di italiani: c'era da fare l'Italia, dove da un capo all'altro non si parlava la stessa lingua, magari recuperando in senso cristiano il patrimonio culturale della grande letteratura. Ma il dna della televisione agì oltre le loro previsioni. Del resto nella storia della comunicazione ogni nuovo mezzo ha finito per rivelarsi un'inquietante lampada di Aladino dagli effetti indesiderati. Anno dopo anno, o meglio programma dopo programma come racconta questo libro, la televisione italiana benedetta dalla Chiesa ha imboccato una strada divergente dall'ispirazione iniziale. Le scelte politiche ed economiche, insieme all'influenza dei generi e dei linguaggi importati, hanno condizionato il modo di fare televisione. Il programma perfetto non è mai esistito e chi ha provato a realizzarlo ha finito per lastricare la via dell'inferno con una buona intenzione in più.