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In una Buenos Aires colta e festosa, tanghera e scettica, ma allo stesso tempo densa di speranze e progetti avanguardisti e innovatori, Francesca Vallmajor Francis, la mia amica Cesca, la scrittrice minore, occulta, disinteressata alla fama, lettrice severa e sottile saggista, conobbe Federico. La sua "Prefederica Loca", come lo chiamava a partire dalle tre del mattino, quando, alticci, ridevano l'uno dell'altra, dopo aver riso di se stessi; dopo aver fatto a pezzi tutti gli altri ed erano già nel letto, soffocando le risate sotto le lenzuola, prima di amarsi come fratelli promiscui, quelle notti in cui dormivano insieme perché erano troppo tormentati dai dilemmi interiori per riuscire a separarsi, e avvinti da quel prematuro panico di essere aggrediti dalla solitudine che, chissà, forse non era né più né meno che il tremendo presagio della morte.