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Burgio ha avuto il coraggio di scrivere tutto quello che, da bambino, sentiva dire. Il nonno materno, il suo amato nonno Calogero, nato proprio quando Garibaldi sbarcava a Marsala, gli diceva sempre: "quella cosa non doveva avvenire. Noi siamo isolani e come tali abbiamo della vita, e dell'esistenza in generale, un'altra visione. Non andiamo d'accordo con noi stessi e vuoi che possiamo fare la stessa strada con altri che non la pensano affatto come noi?" Non era un nostalgico dei Borbone. Il nonno amava la sua terra ed era convinto che quella annessione forzata non era la strada migliore, perché le alternative per l'unità nazionale erano altre. C'è stato un'altro motivo che ha spinto Burgio a scrivere questo libro, che sta a metà tra il saggio e il romanzo: la piaga della mafia. La Sicilia potrebbe essere il paradiso terrestre se non fosse per le grandi ferite che si trascina da oltre centocinquanta anni... Nelle pagine del libro si mettono in luce storture, peccati, mali, difetti e vezzi di quanti, nonostante avessero potuto agire non hanno mai mosso un dito per combatterli, ma continuano a lamentarsi... Lasciando ad altri questo compito, come se non fossero anche fatti loro.