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La poesia di Stefania Rabuffetti è come un viaggio tra scenari d'origine e immensità incommensurabili, vuoti invadenti e bui assoluti, cieli disadorni e sciami di stelle. È come un racconto che si spezza, si frantuma per lampi, scosse conoscitive, piccoli aggregati di sapere e vissuti. La sensazione, il senso che se ne ricava è anche il gusto (la sorpresa) di una parola ancora semplice e intensa, che però non semplifica nulla proprio perché la sua complessità è deposta nella giusta superficie, accanto all'ossessiva affabilità interrogativa e alla fuggevole trasparenza figurativa, in un'epoca in cui le parole, che si dicono e si scrivono, sono per lo più ripetitive, inutili, autocelebrative.