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Intendiamoci: le opere giovanili di Verdi si debbono certamente studiare. Ma non per sognare improbabili recuperi di capolavori. Bensì per rilevare in esse, accanto alle prime affermazioni del genio, tutte le cose che il Verdi maturo non fece più: l'oziosa coniugazione di radici melodiche puramente decorative; l'inerzia di accompagnamenti stereotipati; la strumentazione bandistica; le barocche volute di strumentini che si avvolgono in pettegoli arpeggi staccati intorno alla melodia vocale. Le opere giovanili sono una miniera, no, un cimitero di procedimenti abbandonati a poco a poco attraverso l'assidua autocritica del genio. Rendersene conto vuol dire pervenire alle ragioni della sua grandezza.