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I maschi sono forti, le donne sono deboli: sembra un'ovvietà che spiega molto dei rapporti tra uomini e donne, di come si sono strutturati e organizzati nel corso della Storia. I forti tendono a combattere e distruggere, i deboli ad accudire e proteggere la vita: così si è creata una dicotomia che fa della forza una via maestra verso la violenza, e della cura una premessa della mitezza e della pace. Ma siamo sicuri che questa differenza si radichi nella "natura"? E che non sia invece una costruzione culturale, un "dispositivo biopolitico" da smontare per svelare un paradigma che ha limitato fortemente l'esplorazione di altre dimensioni ed elaborazioni di concetti come "femminilità" e "mascolinità". È il paradigma, non l'oggettività corporea, ad aver articolato le relazioni tra i generi alla stregua di una lotta tra vittima - reale o potenziale - e carnefice - reale o potenziale. Nel pieno del dibattito sulla violenza di genere - dalle molestie ai femminicidi - in un percorso in più tappe, teorico ed esperienziale, l'autrice ridisegna il maschile e il femminile e con essi la mappa del discorso sulla forza distinguendolo da quello della violenza: perché ci vuole una particolare forza sia per non essere "vittime" sia per non esercitare un potere soggiogante.