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Nell'ospedale militare della Marina britannica giace gravemente ammalato il Commodoro: è stato lui, e non l'ammiraglio Nelson, che nella battaglia di Trafalgar (1807) ha condotto la Royal Navy alla vittoria sulla flotta di Napoleone. È una lunga agonia la sua, prima gli tagliano la gamba destra, poi la sinistra, poi ancora il bacino e a seguire il tronco e le braccia, rimane la testa: durante il progressivo affettamento disserta con medici, chirurghi, monsignori, frati, predittori, cuochi, moglie e amanti, alternando lucida passione a struggenti nostalgie. Vista l'impotenza della medicina e della chirurgia nel fermare il male, tra un intervento e l'altro si fa largo uso di esorcismi, ma senza benefici. Fino a quando, aperto il cranio del Commodoro, si scoprirà che negli anfratti del cervello c'è una Mosca, viva, e che è stata lei a pilotare la mente del Commodoro: dunque è la Mosca il vincitore della battaglia di Trafalgar. Ne nasce una disputa, compaiono anche le ombre di Nelson e dello sconfitto ammiraglio Villeneuve, e la Mosca si precisa come un personaggio magico, dotato di poteri sovraumani. Nello smarrimento totale, i personaggi all'unisono supplicano la Mosca di non abbandonarli, salutano in lei il Salvatore, le chiedono di prendere in mano il potere e i loro destini. E in coro cantano il Magnificat. Un susseguirsi di allegorie del nostro tempo che si prestano a più di una interpretazione: chi è il Commodoro?