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'Sillabe', 'sillabare', 'sillabando', 'sillabazione', un concetto che si ripete più volte in questi testi, spesso brevi, brevissimi, alcuni con la forza e la potenza dell'aforisma. Un concetto espresso sin dal titolo che, con drammatica urgenza, risuona come monito: il poeta vive sillabando? Oppure solo sillabando riesce ancora a vivere? Si coglie una duplice tensione, una ricerca che si snoda in due direzioni differenti, apparentemente opposte, ma che l'autore vuole tenere insieme: l'ininterrotto dialogo con un Dio che tutto permea e in cui tutto è riunito, chiarito, e la ricerca estenuante di elementi primari, indivisibili (la sillaba è la minima unità fonica), particelle incorrotte con cui esprimere il proprio sentire, rinunciando al di più, a tutto ciò che è eccessivo, al superfluo che abbonda e appesantisce il quotidiano vivere (dall'Introduzione di Giovanni Nacca). «Per due sillabe sole voglio essere il poeta della mia poesia».