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Diciamocelo: nell'immaginario collettivo la figura del batterista non gode di stima universale. Il grande jazzista Lester Young passò dalla batteria al sax dopo aver constatato che mentre lui smontava tamburi e piatti i suoi colleghi corteggiavano le fanciulle presenti in sala. Negli Stati Uniti, addirittura, sono i protagonisti di un corpus di barzellette sarcastiche ("il batterista è un tizio qualunque al quale piace farsi vedere in giro con i musicisti"). Eppure, provate a eliminare la batteria da ogni tipo di musica, e nulla sarà com'era. Perché, nonostante tutto, i batteristi sono essenziali, indispensabili, necessari e insostituibili. Senza di loro non ci sarebbero ritmo, sensibilità, forza; senza di loro non si ballerebbe, non si batterebbe il piede a tempo, non ci si sincronizzerebbe con il respiro della musica. Non solo. Per la posizione peculiare che occupano sul palco, sempre un po' indietro, sottratti al proscenio, hanno una visione privilegiata di tutto quello che succede, e soprattutto sono gli unici che guardano gli altri musicisti di spalle, compresi i cantanti. A loro, a chi sopporta di stare fuori dal cono dei riflettori, è dedicato questo libro. Più di cinquanta grandi strumentisti italiani - senza distinzione di genere musicale - raccontano le loro esperienze, la loro vita vissuta a dare il tempo agli altri. Ci sono tutti i grandi stilisti - da Gatto a Di Cioccio, passando per Golino, Meyer, De Piscopo, Rivagli, Bandini - e i giovani che ne hanno raccolto l'eredità; quelli che hanno trascorso la propria carriera guardando da dietro i cantanti di grido, e alcuni formidabili personaggi come Sauro Rocchi, per anni con Casadei, e Franchino Camporeale, oggi novantenne, ma ancora alle prese con piatti e tamburi. Senza ignorare gli indimenticabili Giancarlo Golzi e Massimo Buzzi, due leggende della batteria italiana.