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Nick Drake era un vero poeta. Lo dimostrano le sue rime ricercate, la profonda affinità che aveva con la natura e quelle strofe sussurrate dove l'esplorazione dell'inconscio diventa ricerca spirituale, in elegante equilibrio tra vita e morte. Ci sembra di vederlo ancora nel piccolo studio dove ha posato la chitarra a terra per l'ultima volta chiudendo troppo presto una carriera promettente, ma il frutto dell'albero non ricompensa in nessun modo chi l'ha coltivato in silenzio. Strano, perché a ben guardare il suo songbook è tremendamente vicino all'immaginario dei poeti più temerari: il romanticismo di Keats, l'innocenza di Wordsworth e la nostalgia di Leopardi, ma anche le tenebre di Baudelaire, le visioni di Blake e l'apocalisse di Eliot. Era stato fatto per amare la magia ed è forse per questo che le sue canzoni ci porteranno sempre in un mondo senza tempo: una nuova Arcadia popolata di principesse e spose in volo verso le stelle, mentre sullo sfondo aleggia quell'enigmatica luna rosa che prima o poi verrà a prenderci tutti.