Novus unde furor. Una lettura del dodicesimo libro della Tebaide di Stazio di Sacerdoti Arianna - Bookdealer | I tuoi librai a domicilio
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Novus unde furor. Una lettura del dodicesimo libro della Tebaide di Stazio

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Il ritorno dell'interesse sul poeta (Publio Papinio Stazio) che negli anni di Domiziano indirizzò la sua maggiore opera all'epos tragico tebano (La Tebaide, che racconta della lotta fratricida tra Eteocle e Polinice per la successione al trono di Tebe), trova molteplici spiegazioni negli studi che si sono sviluppati sull'onda di un rinnovato interesse per la letteratura dell'età flavia. La "Tebaide" è stata, negli ultimi decenni, oggetto di un ricco dibattito focalizzato sulla complessità ideologica e letteraria dell'opera. Sull'onda degli studi sulla lingua inquieta del racconto epico, la scelta dell'autore è stata quella di analizzare gli 819 versi che costituiscono il dodicesimo e ultimo libro. Esso propone infatti la riapertura inaspettata di un conflitto che sembrava risolto e che si dirama in numerose trame del racconto. La tensione è tra Eteocle e Polinice; tra due stirpi, quella argiva e quella tebana; tra il "maschile" e il "femminile", tra Creonte e Teseo, tra la pace e la guerra, tra il furor e l'armonia dell'equilibrio, tra il pianto del luctus e la gioia sfrenata, che sembrano coesistere con sinistri accenti di inquietudine negli ultimi versi della narrazione. La lingua si fa specchio e cassa di risonanza di una polisemia e di polarità non risolte: attraverso gli strumenti retorici della negazione, dell'enallage, dell'uso allusivo di alcuni lessemi, Stazio veicola un potenziale di ambiguità stilistica che riflette il disordine di un cosmo non pacificato.

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