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Un carteggio infinito con un tu trasparente, che forse è dall'altra parte della terra, porta alla luce il viaggio di due sposi persi tra i ponti e i cartelli turistici di una città capovolta sull'acqua. E l'acqua alta che ha nascosto tutte le scale e tutti i passaggi, tranne quello per l'aldilà. Come Anafesto (il primissimo doge della Serenissima) lo sposo ha scolpito coi tacchi le pietre delle calli. Ha attraversato il deserto al guinzaglio di Evelina, fino ai palazzi dei mercanti di sale di Gerusalemme. È scivolato in un'immensa cantina e scava lì, dove "la terra è morbida e ha un profumo dolcissimo / di nuvole". Le fondamenta della casa "scendono per moltissimi chilometri / secondo Nicodemo / finiscono / dall'altra parte della terra / e / nelle giornate chiare se non c'è troppo vento / raggiungono la luna". Un testo suddiviso in movimenti come una sinfonia. I temi si rincorrono, migrano da un capitolo all'altro, si sovrappongono insieme ai nomi e alle metamorfiche identità dei personaggi. Alla fine rimane il verso ritmico dei piccioni. E il sale che vela di bianco l'imprevedibile fantasma di Mozart, quando l'acqua sparisce. Scritto molti anni prima de "Il disegnatore di alberi", questo libro attraversa con la stessa naturalezza un territorio davvero inedito nella nostra letteratura. Con una postfazione di Manlio Cancogni.