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È sempre triste, quando muore qualcuno. Ancor più triste, se è una persona giovane. Intollerabile, se è una morte che si poteva evitare. Il 16 marzo 2003 una ragazza americana di ventitré anni, Rachel Corrie, membro dell'lnternational Solidarity Movement, viene schiacciata da un bulldozer dell'esercito israeliano a Gaza, mentre cerca di impedire - illudendosi che basti fare scudo con il proprio corpo - la demolizione di una casa palestinese. La sua morte così insulsa è diventata il simbolo di una pace, quella che da tanti anni insegue il Medio Oriente, calpestata e imbrattata di sangue. Attraverso i diari di Rachel, le lettere, le e-mail, è nato questo monologo, che restituisce un'ora di vita a una ventenne idealista come oggi ce ne sono poche: problematica, sognatrice, un po' logorroica, appassionata di Salvador Dalì e Pat Benatar, fumatrice accanita, che mollò la scuola e partì da Olympia, nello Stato di Washington, per andare a lavorare come attivista durante la seconda Intifada nella striscia di Gaza, al cuore dell'incendiario conflitto israelo-palestinese. Rappresentato al Royal Court di Londra, poi nel West End, "censurato" a New York e successivamente accolto off-Broadway, sempre "tutto esaurito", il testo ha suscitato un acceso dibattito, richiamando l'attenzione delle istituzioni sulla sicurezza delle organizzazioni umanitarie che cercano di riportare la pace nelle zone calde del mondo.