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Vaghi frammenti di memoria fluttuano nella mente dell'autore Silvio Borile. Ondeggiano e rimangono sospesi tra le sue considerazioni personali e, tra una confutazione e l'altra, emerge l'animo deluso e sofferente di un cuore affranto per le sorti dell'umanità. Alla radice di tutto c'è il concetto fondamentale del tempo, inserito in un contesto di eternità. L'eternità è una superficie statica in cui il tempo scorre all'infinito, come una sorgente sempre nuova. Questo continuo affluire ci libera sia dal divenire senza senso, sia dalla paura del futuro. Noi occidentali subiamo l'oppressione del tempo, il quale da grande tiranno che è ci fa muovere freneticamente senza fermarci a guardare indietro. Probabilmente il fermarsi comporta una pausa di riflessione e questa fa paura, si temono domande scomode, questioni irrisolte e insabbiate. Si avverte a volte la nostalgia e il desiderio di una vita diversa. Per la sanità dell'uomo e delle sue relazioni è sempre più necessario che all'avere tutto e subito si contrapponga la saggezza di chi sa pazientemente costruire le relazioni, cogliendo la verità e la bellezza in ogni piccola cosa. Il saper apprezzare la meraviglia delle piccole cose, l'Autore lo spiega molto bene, dettagliatamente. Oltre alle sue riflessioni il testo contiene stralci di ricordi di una gioventù nella quale tutti quei concetti di libertà, amore e solidarietà, che avevano infiammato i cuori dei giovani di sessant'anni fa, nei tempi delle contestazioni studentesche, sono stati soppiantati dall'arrivismo, dal razzismo e dalla cupidigia. Momenti di lavoro, svago, condivisione, amicizia, guerra. Volti, paesi, usanze, tutto fa parte di un vissuto doloroso, ma che attraverso un cammino spirituale ha finalmente trovato la luce.