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La storia della critica d'arte è stata a lungo considerata una disciplina strumentale. Liberandola da tale pregiudizio che la vorrebbe in posizione subordinata rispetto alla storia dell'arte, Donata Levi ripercorre, tra la tarda antichità e la metà del Quattrocento, ovvero tra la biblioteca perduta del mondo classico e i Commentarli di Lorenzo Ghiberti, il discorso sull'arte, dungue le diverse forme di analisi e di racconto su oggetti e personaggi, fenomeni e produzioni, cui si è attribuita nel tempo una valenza artistica. Dopo aver tracciato le varie posizioni teoriche sullo statuto della disciplina, dal fondatore viennese Von Schlosser ai maestri italiani Longhi e Venturi (fino alle suggestioni di Derrida intorno a un celebre dipinto di Van Gogh), l'autrice illustra le differenti modalità di interpretazione delle opere d'arte nei testi filosofici, religiosi e letterari contemporanei, ma anche le loro pratiche di utilizzo e fruizione: dagli albori dell'arte cristiana - guando si alternavano timore dell'idolatria e sfruttamento delle immagini sacre come biblia pauperum - al fervore decorativo dell'abbazia di Saint-Denis, fino all'inaugurazione di una storiografia artistica in volgare, racchiusa in alcuni preziosi versi di Dante che, secondo il celebre giudizio di Longhi, fondò "nel cuore del suo poema la nostra critica d'arte".