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Un D'Annunzio diverso e forse meno sospettabile è quello che emerge da questo libro dedicato alla sua malinconia. Un ritratto tanto più sorprendente se si pensa al cliché vulgato del poeta e del personaggio animati dall'impeto vitalistico e dall'energia inesauribile. Tra le pieghe dei suoi diari e degli scritti privati, ma anche, a guardar bene, nelle opere creative, si distingue un soggetto malinconico che predilige il rifiuto del teatro del mondo al di là delle apparenze. D'Annunzio, dunque, il genio malinconico di aristotelica memoria, animato dal furore creativo, è colto a meditare sull'inarrestabile dissolversi delle cose, sulla pulsione di morte e di annientamento, rovescio inquietante e misterioso di un'esistenza da lui stesso definita "inimitabile". Tant'è che, verso la fine dei suoi giorni, poteva annotare nel Libro Segreto: "Questo ferale taedium vitae mi viene dalla necessità di sottrarmi al fastidio - che oggi è quasi l'orrore - d'essere stato e di essere Gabriele D'Annunzio, legato all'esistenza dell'uomo e dell'artista e dell'eroe".