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Tra Settecento e Ottocento la traduzione assume un ruolo di rinnovata importanza nella letteratura italiana e diventa sempre più (sulla scorta della querelle classico-romantica) lo strumento principe di rinnovamento. Il ritorno a Virgilio in particolare contrassegna la prima stagione romantica: nelle sue opere si cercano le radici di una nuova idea di poesia (capitali le riflessioni di Leopardi e di Manzoni). In questo contesto l'esperienza del Tommaseo assume un ruolo di grande rilievo, e non solo per i risultati poetici. Su Virgilio si fonda il primo grande commento dantesco (1837) che segna, con il minuto censimento delle fonti, la scoperta capitale dell '"autore" di Dante; echi del poeta latino percorrono la prosa di "Fede e bellezza" (1840); riscontri puntuali s'insinuano nelle note ai "Canti popolari toscani, corsi, illirici, greci" (1841-42), documentando l'incontro ideale di tradizione popolare e di poesia d'arte. Nel grande "Dizionario della lingua italiana" (1861-74) il poeta latino assume poi (per autorità e numero di citazioni) il ruolo di padre fondatore: modello di una lingua vocata alle vette liriche non meno che alle infinite sfumature dell'uso parlato. La scoperta poetica di un Virgilio "italiano" parte dunque dalle "laudes Italiae" delle "Scintille" (1841) e si svolge coerentemente, per approfondite ragioni storiche e culturali, sino agli anni più tardi.