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Ritorna, in un'edizione a cura di Marco Marchi, il romanzo di Federigo Tozzi. Una storia d'amore come un perverso gioco di specchi, un caleidoscopio da vertigine di occhi che sfuggono o annichiliscono. Tutti in "Con gli occhi chiusi" si abituano a non parlare, a non vedere o a trasmettere con sguardi assassini; tutti imparano a restare immobili, magnetizzati e magnetizzanti, paralizzati pur sentendosi costantemente braccati. Una pedagogia dell'inibizione consegue i suoi frutti. Anche la folgorazione, in assenza di parole, è in agguato, tanto che gli occhi, in trattoria o nei campi, si chiudono a tutti. Tutti, invece di vigilare come sarebbe loro dovere, appaiono letargici, sbadiglianti, sonnambolici quando non ipnoticamente impietriti: in preda al terrore che li attanaglia o, al contrario, a terrorismi indotti, derivati da chi, in un podere alle porte di Siena o all'Arco de' Rossi, anche con le occhiate esercita il suo dominio, il suo carisma inesorabile.