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«La storia dell'ex Monastero di Santa Chiara, che tanta parte ebbe nelle vicende sammarinesi, non è molto conosciuta da tutti. Nonostante l'imponenza architettonica, fa parte di quelle storie "minori" che, contrariamente a quanto si possa supporre, sanno offrire alcuni capitoli tra i più interessanti e significativi della nostra storia patria. Come la vicenda di Vincenza Lunardini, senza il cui sacrificio, probabilmente, anche il Monastero non sarebbe stato mai ultimato. La fortuna, o la sfortuna, di Vincenza, già orfana di madre, fu segnata dall'ingente patrimonio di 3500 scudi d'oro che le derivò dalla morte del padre Federico, quando era ancora giovanissima. Perciò, mentre era già stata promessa a tale Giacomo Menzini di Lonzano, i parenti tramavano tresche a non finire. Lo zio sammarinese Bonetti cercò di mettere fine agli intrighi chiedendo a Vincenza il suo assenso ad entrare in monastero, pensando così di risolvere anche la storia del convento che non si riusciva ad ultimare. I primi lavori erano infatti cominciati intorno al 1565, per finanziare i quali il Governo istituì la famosa "Cinquina", ovvero la tassa del 5% sui beni acquistati da forensi. Ma a causa dell'asperità del sito, le spese e la fatica erano indicibili. Nonostante le donazioni, i lavori furono interrotti nel 1572, poi ripresi e nuovamente interrotti per i continui problemi. Sicché c'era davvero poca speranza che vi entrassero le monache. Qui si inserisce la storia di Vincenza, che docile e remissiva abbracciò di buon grado la proposta dello zio Bonetti, anche contro le trame del monastero di Rimini, a cui quel patrimonio stava altrettanto a cuore e che quindi la voleva tra le sue novizie. Sembra che sia stata lei stessa a scegliere, nonostante le difficoltà paventate dal vescovo di Rimini. Nel 1609, otto anni dopo la morte del padre, Vincenza Lunardini entrò nel convento di San Marino, con grandi festeggiamenti da parte della popolazione. In quello stesso anno, il monastero fu inaugurato con una cerimonia degna delle più grandi occasioni. Vincenza proseguì la sua vita claustrale con il nome di suor Innocenza, forse in omaggio a quel candore che le aveva permesso di superare gli intrighi consumati sulla sua testa con una decisione che permise di portare a termine i lavori del monastero e che tutta la cittadinanza apprezzò moltissimo. Poi ogni storia fu coperta dal silenzio, dalla preghiera e dal lavoro quotidiano. Le suore aprirono la prima scuola femminile della Repubblica e si fecero sempre amare e stimare per i preziosi lavori artigianali che uscivano dalle loro mani. Delicata e preziosa come un cammeo la vita di suor Innocenza è da inserire a buon titolo nella galleria delle "grandi donne sammarinesi". Questo nostro ricordo vuole essere un piccolo omaggio alla donna e alla religiosa, posto a margine di questo libro che ci svela tanti altri aspetti, probabilmente altrettanto poco noti, ma sicuramente molto affascinanti, della vita del monastero. Un sincero plauso va dunque alla casa editrice AIEP, che ha ideato e realizzato il progetto; e agli Autori, che ne hanno curato la redazione. Un immenso grazie va alle Clarisse, per il bene elargito senza parsimonia alla nostra gente e per aver custodito gelosamente tanti documenti che oggi diventano patrimonio culturale della comunità.» (Il Segretario di Stato alla Pubblica Istruzione e Cultura Romeo Morri)