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Quindici quadri (o "scene" a loro modo drammatiche) si succedono come altrettanti canti di un poemetto dall'andamento insieme narrativo ed aforistico, sostenuto dall'aspra, convinta visione del mondo che è del suo autore. Nonostante la difformità dei protagonisti di ogni pannello, infatti, Carni è un libro reso compatto dalla "verità" che lo origina, lo attraversa, lo impone come necessario all'attenzione del suo lettore. Come negli altri testi di Daniele Gorret, la sfida al dominante "buonsenso" che da sempre oppone "umano" e "non umano", "animato" ed "inanimato", si fa, qui, radicale, con tonalità a tratti provocatorie, a tratti strazianti. Dai bagnanti di una spiaggia tirrenica alle ospiti in una casa di riposo, dal vitello tentato dalla fuga di fronte al macello alle piante di un bosco che stanno subendo l'abbattimento, dai poveri libri esposti in un mercatino dell'usato alla coppia protagonista di una notte amorosa, dal "déjeuner sur l'herbe" di una famiglia italiana anni cinquanta all'affresco di un Golgota in una cappella di montagna, situazioni e personaggi tra loro diversissimi condividono la condizione (abissale) di essere insieme sul pianeta Terra. La "carne" del titolo si illumina allora come metafora vivente per tutto ciò che ex-siste, costretto a fare - per un tratto più o meno breve di tempo - esperienza della propria vita, del piacere e della sofferenza, della morte. Convinto che - segretamente - tutto senta, il poeta è anche, per ciò stesso, certo che tutto sia fratello a tutto; chi non voglia distogliere lo sguardo dagli aspetti del mondo apparentemente più lontani dal nostro, avvertirà una possente parentela, che è poi quella sperimentata dai grandi mistici di ogni tempo e di ogni tradizione. Superate troppo facili sicurezze e contrapposizioni, il Verbum giovanneo si farà carne del mondo tutto, nel senso più viscerale, più radicale, più esposto; e sarà compito della Poesia proclamarlo, ora con l'urlo, ora sottovoce.