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«"Novissimo viene il giorno" è l'elegia narrativa di un 'malus hospes' indicato come piegatore, e pieghe in verità questi pratica su un tessuto ordito da mitemi, tramato da una lingua morta rivivita - in ciascuna piega il piegatore complica le proprie ispirazioni, la sua cattività solitudinaria, condizione esperienziale della 'vita brevis' tallonata dalla morte. La condizione moltitudinaria, cifra poetico-politica della contemporaneità, è d'altra parte il grande problematizzatore che insiste sotto mutevoli forme nel dispiegamento drammaturgico - il piegatore ne è attratto, tuttavia dei molti, dello spartachismo o viceversa del 'situationnisme' che li rappresenta, vittimizzati e al tempo stesso minacciosi, quegli non disconosce la debolezza, ciò che invero ne comunica la potentia, e però li inclina a ricostituirsi in sempre nuovi piani di estraneazione ontologica. Profugo in una camera, accudito da un camerierino per lo più sfuggente, disadatto alla cura, il piegatore, svariato da un amore inarrivabile, fatto 'de dreit nien', informa interrogazioni fondamentali intessute nella filatura lirica del libro, le cui imbastiture contrappuntano il racconto.» (C.P.)