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Oggi la responsabilità del progettista è normata dalla deontologia professionale per quanto riguarda i rapporti con la committenza e si ripropone ogni volta nel processo progettuale al cospetto dei regolamenti edilizi e delle norme urbanistiche di attuazione del piano. Questo assicura di rientrare nei termini di legge istituiti per la salvaguardia dei diritti, identifica il limite da non oltrepassare nella concezione di uno spazio dell'abitare e di un intervento sul territorio, l'ambiente e il paesaggio, fissa le misure minime alle quali attenersi nel dimensionamento, ingiunge una serie di divieti, fissa obblighi e vincoli. Inoltre, ovviamente, non può che riferirsi a situazioni tipo e soprattutto a un tipo di uomo del tutto astratto. È pur vero che le norme vengono aggiornate in base alle nuove situazioni storiche, agli eventi, all'insorgere di nuove problematiche, ma non possono necessariamente che rimanere astratte. Ma nella pratica progettuale da parte degli architetti si potrebbe fare molto di più se la questione dei diritti fosse ben presente nella concezione del progetto e nel corso di tutto il suo sviluppo, ogni volta di nuovo. Come per un nuovo inizio che rimetta in causa e domandi: dove sei? A che punto sei del tuo cammino? Questo cammino non è solo quello interno allo sviluppo di una professionalità e di una poetica, ma della coscienza della propria umanità che ci obbliga a un comportamento conseguente. L'assumere l'orizzonte dei diritti fondamentali dell'uomo come proprio insostituibile riferimento ci può aiutare a reiterpretare di volta in volta il tema del progetto ed il suo contesto nell'esercizio di quella pietas per le cose e per gli uomini che costituisce un nostro imperativo.