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Autunno 1956, poco prima di partire per l'Italia Cheever annota sui suoi Journals: "Ho paura che potrei innamorarmi di una duchessa di facili costumi o di un adorabile e giovane commesso, ma non è poi questo ciò che conta. Con animo aperto e questo affare capriccioso tra le gambe non mi resta che giocarmi le mie carte e confidare nel Signore". Il sogno di John Cheever finalmente si realizza: dopo la faticosa stesura del suo primo romanzo, "Gli Wapshot", i Cheever decidono di passare un anno in Italia, il bel paese della Traviata e della Tosca, il paese della Bella Lingua che tanto affascina lo scrittore. Con l'Italia c'è infatti un legame, particolare, occulto: "lo ho il mio passato: case, persone, volti e un antico nome. Il Mediterraneo non fa parte di tutto questo, ma nonostante ciò ha dominato i miei sogni negli ultimi dieci anni". L'ambizione di Cheever è quella di introiettare una cultura che sente potentissima. L'Italia che lo scrittore qualche anno più tardi racconterà non è quella delle guide turistiche o dei libri di storia ma un paese - seppure in pieno boom economico - ferito e sottosviluppato rispetto all'America. Il narratore di questi racconti è spesso una specie di turista spaesato nell'anima dei protagonisti, e castelli, feste di paese, la lingua sconosciuta, i personaggi equivoci e la povertà sono solo i segnali di un senso di pericolo e di irraggiungibilità che permea ogni lontananza, ogni distacco.