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Il "Don Gennaro" di Palumbo, a differenza del "Don Gennaro" di Totò, non aspetta che "la livella" la faccia la morte. Sogna che "un poco di livella" la si faccia in questa vita e sia dettata dalla spinta alla solidarietà sociale, economica e politica e anche, e soprattutto, al fine di non guastare già alla fonte la "gioia di vivere" per tutti. Nel dialogo stringente con il Marchese, il potente di turno della nostra società, il Don Gennaro di Palumbo è sempre netturbino, ma è preso da un'altra ansia, quella di smantellare con la parola i tanti fardelli che i potenti buttano sulle classi non abbienti e le innumerevoli "follie" che ci rendono impossibile la vita. Egli perciò mette a nudo, svuotandole dal di dentro, le differenze e disuguaglianze tra coloro che ancora oggi sono i marchesi di questa società e la massa di netturbini ridotti al silenzio, i primi che abitano sulla luna e i secondi costretti a sbarcare il lunario. Con una speranza segreta. Che questo processo di eguaglianza, visti i celeri medioevi contemporanei, pure se ostacolata dall'egoismo umano, lo faccia anche se lentamente, con succhiotti e risucchiotti, la storia stessa.