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Molti osservatori sostengono che l'industria italiana è insufficientemente aperta all'innovazione e poco orientata ai mercati internazionali, oltre che ripiegata su dimensioni di impresa medio-piccole a bassa intensità tecnologica. Il confronto con la realtà sembra restituire un quadro ben diverso. Una vasta indagine sul campo condotta dal Centro Studi Confindustria fornisce molti elementi di riflessione che vanno in tutt'altra direzione. Gli esiti di tale indagine ci dicono che per interpretare la logica del cambiamento in atto nel sistema industriale italiano occorre abbandonare l'idea che esso costituisca un'entità omogenea, e che, piuttosto, si debba inquadrarne le tendenze alla luce di una emergente forma di dualismo che scaturisce dall'affermarsi di un doppio percorso evolutivo: quello intrapreso da un gruppo molto dinamico di imprese che hanno adottato strategie di marcata differenziazione rispetto al passato, da un lato; e, dall'altro, quello dentro cui sembrano tuttora prigioniere le imprese che faticano a tenere il passo. L'analisi svolta in queste pagine si occupa delle prime, e ne ricava che esse non rappresentano casi straordinari di eccellenza, ma un segmento significativo di imprese che hanno evitato soluzioni competitive incentrate su fattori di costo e sulle economie di scala, e hanno attribuito al controllo della tecnologia e alla qualità del capitale umano il ruolo di cardini su cui fondare le loro decisioni strategiche.