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"Le lascio immaginare il senso di malinconia e di rabbia che mi dà il continuare a essere considerato straniero nel mio paese". Così scriveva Leone Ginzburg, il 1° agosto 1943, all'amico Benedetto Croce, dal confino abruzzese di Pizzoli in cui il regime fascista lo aveva segregato, come "prigioniero civile di guerra", insieme con la moglie e i figli, fin da tre anni prima, al momento dell'entrata in guerra dell'Italia. Antifascista, militante del gruppo di giustizia e libertà, direttore editoriale e principale animatore, insieme con Cesare Pavese, della casa editrice fondata a Torino da Giulio Einaudi, Leone ha sempre rivendicato, nella sua breve e intensissima vita, il carattere radicale delle sue prese di posizione politiche e culturali. Infatti, la sua figura si presenta come l'espressione più significativa di quel gruppo di intellettuali militanti che si insediò a Torino tra il 1935 e il 1943, e che avrebbe segnato in modo profondo tutta la successiva vicenda politica e culturale italiana, dalla Resistenza alla liberazione, alla nascita della Repubblica. Florence Mauro, una scrittrice francese, di padre di origine piemontese, che porta nella propria formazione le tracce profonde di quella memoria, ha voluto raccontare la folgorante parabola di Leone "come fosse una bandiera, un manifesto, un tentativo di fornire un contrappunto alla cattiva qualità della storia presente".