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I continenti esistono? È possibile scriverne una storia? Un'antropologa e uno storico avviano in queste pagine un dialogo che vuole coinvolgere il lettore nella necessità di una piccola rivoluzione copernicana: ripensare i modi e i criteri con cui, all'alba del terzo millennio, le rispettive discipline possono accostarsi a una simile impresa. La convinzione di fondo è che l'Europa abbia inventato i continenti e disegnato la cartografia del pianeta, riuscendo a presentare questa sua costruzione come un fatto naturale. Primi ostaggi di tale operazione ideologica sono state le stesse scienze umane, che hanno assunto come realtà ciò che era artificialità. Ma l'allargamento della visuale a una pluralità di mondi e modelli divergenti, talvolta dotati di una vitalità superiore rispetto all'Occidente, porta oggi alla luce il problema della storia, della sua metodologia e dei suoi rapporti con le altre discipline, prima fra tutte l'antropologia. Quello che ne deriva non è solo la necessità di un confronto tra i continenti che sappia prescindere dall'impatto con l'Occidente, e sappia riconoscere le trame plurime e multiculturali di cui forte è rimasta l'impronta, nonostante la distruzione, la conquista e la creazione di falsi Stati e confini. È la stessa revisione della storia europea ad essere posta all'ordine del giorno; e, prima ancora, una ridefinizione delle due discipline fondanti, la storia e l'antropologia, destinate a una trasfusione di idee e a una dissoluzione dell'una nell'altra.