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L'idea che sorregge e accompagna tutti i saggi qui raccolti sviluppa e arricchisce un'intuizione di fondo, a proposito della storia dell'Italia contemporanea: quella di una corrispondenza puntuale e di un contrappunto costante fra retorica e politica. Da un lato, la tecnica dell'argomentazione e il discorso persuasivo, raziocinante o emotivo che sia; dall'altro, le scelte concrete delle classi dirigenti, destinate a incidere per decenni sulla vita collettiva di una società. Basterà pensare al protezionismo, con la sua suggestiva metafora della "difesa del lavoro nazionale", o alla costruzione dell'italianità attraverso i manuali scolastici, o all'invenzione della società rurale maturata negli anni dell'industrializzazione incipiente, quando si trattava di imporre una disciplina laboriosa e devota ai contadini impudichi, pigri e lascivi che incominciavano a inurbarsi nelle fabbriche. Il ricorso a un uso raffinato della retorica come strumento dell'agire politico, naturalmente, non è solo italiano. La Francia, per non andare lontano, ha conosciuto la travolgente oratoria di Jean Jaurès e Georges Clemenceau, che ha recato un contributo decisivo rispettivamente alle riforme sociali e alla vittoria nella Grande guerra. Ma proprio da una comparazione e da un confronto serrato, secondo Lanaro, può scaturire l'immagine di una "parola" a cui compete un ruolo essenziale nella storia contemporanea.