Tab Article
Ci si potrebbe interrogare sull'esatta natura dei testi qui raccolti da Patrizia Santi sotto il titolo ingannevolmente idillico di «Caro marzo»: poemettini in prosa, prose liriche, prose poetiche, prose-poesie, "prose in poesia" (titolo di un libro della fine degli anni Settanta)? Il pensiero potrebbe anche ritornare alle due partizioni nella prima parte della raccolta «Tutte le opere» di Giovanni Papini edita alla fine degli anni Cinquanta: una intitolata «Poesia in versi» e l'altra, «Poesia in prosa». Ma la questione in fondo è semplice: queste sono poesie, punto. Con una poeticità contagiosa che si estende anche all'«Introduzione», dove l'autrice - piuttosto che "spiegare" la sua raccolta - sceglie di parafrasarla con una serie di citazioni dalle sue poesie. Questo libro rientra dunque - con una sua pronunzia personale, beninteso - in una ben collaudata (per ricorrere al termine marinettiano) tradizione del moderno: dove la "metrica" non è più quella del verso libero, ma si identifica essenzialmente con le torsioni della sintassi.