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Una passeggiata domenicale per la salita di Cavone, nel centro storico di Napoli, può offrire una quantità di stimoli tale da stordire e sollecitare gli interessi più disparati. Nel nostro caso era una fresca mattina di febbraio quando ci siamo addentrati per via Correra, nel rione descritto da Luigi Incoronato nel romanzo "Scala a San Potito", e non avremmo mai immaginato che quell'imprevisto girovagare avrebbe innescato, con l'urgenza di una bomba Maradona, una serie di riflessioni sul crinale scivoloso tra storia dell'arte e storia della cultura. Già nei primi metri della strada, spesso fronteggiandosi, si affastellano edicole votive di fattura molto recente, dalle più varie fogge e dimensioni: crocifissi, madonne, monumentali figure di Padre Pio, fotografie di cari estinti o miracolati, coloratissimi fiori di plastica, tubicini di neon blu tormentati all'inverosimile. Il tutto, spesso ingabbiato in strutture di alluminio anodizzato, è orchestrato con sapiente disegno, anche se a prima vista si ha l'impressione di un'improbabile accozzaglia. Ma come nascono simili creazioni? E cosa concorre, oltre alla natura devozionale, a renderle visivamente così esuberanti? Possono considerarsi opere d'arte collettiva, work in progress di comunità più o meno piccole? Con queste domande nella testa abbiamo cominciato a documentarci, rintracciando una vasta bibliografia che, soprattutto di recente, ha prodotto lavori approfonditi, corredati di censimenti e schedature.