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Incultura, finanza e globalizzazione stanno rapidamente spingendo i linguaggi dell'arte in un "cul-de-sac". Il tramonto definitivo delle avanguardie e l'erosione del potere intellettuale che le puntellava, insieme all'immagine dell'arte come status symbol, hanno favorito l'ascesa di un collezionismo che, sprovvisto di un'adeguata conoscenza del proprio oggetto del desiderio, ha tuttavia imposto nuove regole del gioco e provocato un radicale appiattimento del gusto. Se un tempo, infatti, il collezionismo - che del gusto è il frutto tangibile, la visualizzazione plastica - era appannaggio di un'aristocrazia colta e carismatica, in grado di conferire legittimità e autorevolezza alla battaglia delle idee, oggi è alla ricerca soprattutto di consenso, e tratta l'oggetto d'arte alla stregua di un souvenir bell'e pronto cui si chiede di essere riconoscibile quanto l'immagine della Tour Eiffel, familiare anche a chi a Parigi non ci è mai stato. Guidato da conformismo e dotato di ingenti capitali, sceglie opere-trofeo con l'unico scopo di testimoniare la sua appartenenza non più a un'élite di conoscitori, ma al club degli affluenti. Dal canto suo, l'artista, perso di fatto il ruolo antagonistico che lo teneva al riparo dalle mode, non oppone più resistenza a questo assetto omologante. È costretto a inseguire il successo economico e produce un'arte "obbediente", attenta ai diktat del marketing e del gusto globalizzato, a scapito di quell'autonomia che era stata il suo vanto e la sua forza fino a pochi decenni fa. Polemico e pungente fin dal titolo, questo agile saggio narra i cambiamenti intervenuti nello spirito del tempo, nel gusto del collezionismo, nel sistema di diffusione dell'arte e in ultima istanza nell'arte stessa, in accordo con i mutamenti intercorsi negli ultimi trentacinque anni anche in campo sociale, geopolitico ed economico.