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La vita di Irene, fin dalla nascita; è scandita e governata dalle parole: prima era il silenzio, la calma, uno spazio indefinito in cui tutto era fluido e innominato. Poi sono arrivate le parole: quelle giuste e quelle sbagliate, quelle che avvicinano e quelle che separano, quelle della voce di sua madre che le canta una ninnananna in olandese e quelle aspre dei litigi, quelle della scrittura, che per Irene è sempre stata una necessità, una prova della propria esistenza. Ma il giorno in cui il fratello Giovanni si ammala, Irene smette di scrivere. La malattia segna l'inizio di un lungo periodo in cui le parole improvvisamente le si mostrano in tutta la loro impotenza e inadeguatezza. Se da una parte la malattia di Giovanni diventa un pensiero fisso e la sua guarigione l'unica meta da perseguire, dall'altra a preoccuparla di più sono le relazioni con i fratelli e con la madre. Irene si ritrova a fare i conti con una storia di violenza e omertà familiare, e con un passato che ha lasciato in tutti ferite profondissime che nulla riuscirà forse mai a sanare. Scopriamo allora che la parola racchiude in sé tutti i significati della vita: può restare ammutolita, o può essere una muta che indossiamo per nascondere agli altri la nostra assoluta fragilità, ma può anche salvarci da ciò che siamo stati per accompagnare il nostro mutare nel tempo.