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Giro d'Italia 1989. Un cronista-scrittore di nome Scipione racconta, tappa per tappa, la corsa ciclistica; attraversa paesi e città - da Taormina a Trento, con traguardo a Firenze. Porta con sé libri e domande: viaggia, legge, si interroga. "Scipione scriveva e i corridori gli correvano intorno", attraverso un'Italia che lo sorprende per luce e bellezza. Immerso nel paesaggio italiano, vi si abbandona: indaga piccole verità della storia ed enormi verità umane. Riscopre luoghi che credeva di avere dimenticato, li ritrova più veri nella lentezza e nella fatica di chi spinge sui pedali. Ama quei campioni. Ama il ciclismo per la sua povertà eroica. Forse minata - proprio in quella fine di decennio - da una mondializzazione che tutto trasforma. Si poteva più vincere soltanto con le proprie forze? Si poteva più riconoscere la qualità di un campione? Cambiava il ciclismo, cambiava l'Italia. L'uno, per Scipione, diventa specchio o allegoria dell'altra: pretesto per un racconto che si fa romanzo, saggio, atto di poesia.