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In "Lunario" il tempo d'amore e il tempo di scrittura si fondono per dilatare il tempo di vita; si ama per scrivere, si scrive o si fotografa per continuare ad amare e alleviare le perdite, per sopravvivere all'uscita dei sogni, oltre la memoria e le sue zone d'ombra. L'amore, la scoperta dolorosa di una identità, fanno di "Lunario" un'opera auto-contemplativa. La luna, con le sue fasi, è ciclica illuminazione delle stanze più nascoste di un individuo. Con il lunario attraversiamo la notte, le sue passioni, i suoi inganni, le sue trappole; la sua luna bugiarda e luminosa ci seduce, poi si oscura e ci lascia soggiogati tra inimmaginabili inferni. L'intermittenza della poesia, soprattutto in corsivo, si fa luce continua, veste la crudezza di scene e dialoghi e alla fine ci redime. Beno, affacciato a una finestra dai vetri appannati osserva le onde del mare. È l'imbrunire: le onde, pochi sorsi di whisky e una musica ad altissimo volume fanno immergere Beno nei ricordi. Descrizioni di un passato da vagabondo si sovrappongono con intermittenza a quelle di un presente contemplativo e solitario: flash-back di una partenza in treno, la scoperta della sessualità, omosessualità, la voglia di non essere riconosciuto nei posti visitati, le fughe, la pazzia. Beno poi s'addormenta, immerso nei pensieri, e sogna disordinatamente.