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La silloge poetica di Giuseppe Vitolo è specchio del percorso esistenziale dell'autore, scandito da sentimenti che riguardano un ardente amor di patria, che si traduce in concreto impegno civile, espresso attraverso il ricordo dei Padri nobili d'Italia, come anche la narrazione dell'allarmante degenerazione della compagine valoriale della nazione, cui si associano i temi della corruzione morale e della sofferenza degli esclusi, ma anche della resistenza di un popolo di fronte ai cataclismi morali e materiali, fonti di tragici lutti e immane dolore. Vi è, inoltre, un sentito richiamo al Cristianesimo, il ricordo dell'infanzia, l'amore per la grande bellezza declinata attraverso l'arte e il paesaggio italiano, in particolare della Campania, della Puglia e della Toscana, cui il mondo interiore dell'autore è affettivamente legato. Inoltre dai versi si evidenzia l'amore familiare, che si coniuga con la lacerante nostalgia legata all'impossibilità di ricomporre la sua dimensione affettiva, oggetto di intimo rimpianto. Egli idealmente esprime un profondo anelito di redenzione della sua adorata terra natia, l'Italia, mediante la riscoperta della dimensione familiare e amicale, l'amore per la natura, una scuola che assolva realmente i suoi obblighi educativi, una società governata all'insegna della saggezza, dell'equilibrio, della moderazione da parte di persone adeguate ai ruoli istituzionali con l'obiettivo fondamentale di perseguire l'interesse comune. Con la prefazione di Francesco D'Episcopo.