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C'è qualcosa che accomuna i due racconti contenuti nel libro? Indubbiamente, ed è il fatto che il personaggio chiave (diverso dal protagonista narratore) sia in entrambi i casi un autentico visionario perduto nella sua lucida ossessione. Che si tratti del rinvenimento di una fantomatica "città" sepolta nel deserto piuttosto che di un mitico documento antico dal significato arcano, la "visione" si perde nella notte dei tempi e le vicende narrate si snodano lungo i labirinti della memoria. Un presente incerto che interpella il passato, un passato che irrompe nel presente, i ricordi che fluiscono e l'oblio che li dissolve, sono i binari lungo cui scorre tra mille incertezze la febbrile ricerca. Un presente vero, testimoniato, che però per il gioco mutevole degli eventi si torce come una spirale di fumo assumendo contorni imprevedibili, occultando la forma del mistero, in un continuo ricorso alla retrospettiva, alla memoria perduta e ritrovata. La visione è la ricerca di qualcosa di quasi indefinibile, forse di un'ipotetica e antichissima civiltà perduta o del segreto di una strana "immortalità" adombrato da scritture senza tempo. Ed è essa, la ricerca, concreta o virtuale che sia, a contare davvero. Perché la meta del viaggio è sempre e solo immaginaria, irraggiungibile, inesplicabile, al di là del limite.