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Dialogo ininterrotto con l'aldilà, fra una madre e suo figlio, Gian Marco Babini, ucciso da un'automobilista che non rispettò lo stop. Nell'impietoso specchio della vita, si cristallizza un'immagine di bellezza, ha il volto ed il nome del figlio perduto. Attraverso i suoi versi lei gli ridona la vita, che ritrova respiro nel palpito del "diversamente vivente". Poesia, lingua del più intimo sentire, valica i confini della materia, non negazione ma mezzo, lotta epica contro l'oblio che, subdolo e silente, vorrebbe relegare al passato ricordi vividi di un presente che non accoglie memorie, ma si posiziona al limitare: confine, valico, linea sottile tra noto ed ignoto, trascendente e materia. L'astrazione della mente passa attraverso il cuore, crea presenze, edifica figure incorporee nel loro fluttuare a noi dintorno. L'irreversibile si anima: note in versi, ritmo e musica del non abbandono. Versi che percepiscono l'oltre, immaginifico segreto svelato; corridoio per il cielo che apre un varco spazio-temporale tra i due mondi: il tempo terreno, fugace ed effimero, e il tempo non tempo, trasformato da un amore già scritto nell'Eterno, che colloquia con l'inconoscibile. Un amore struggente, caparbio e determinato, ricuce lo strappo della separazione, ricompone l'unione madre-figlio, risana la frattura tra visibile e invisibile, la coniuga al tempo presente: non "eri", ma "sei". Oblio soccombe sotto il peso delle sue stesse macerie; non avrà la paternità dell'eccellenza delle negazioni: né più mai. Poesia, collante universale, trionfa. Lo chiamiamo amore.