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Per dominarlo, il tempo, l'uomo, gli ha dato la libertà condizionata degli orologi: perché, senza tempo, non v'è dolore, senza dolore, non v'è tempo, senza dolore e tempo, non v'è uomo; senza uomo non v'è perpetuazione del tempo che ci illudiamo di tenere, come un ondivago palloncino, legato all'invisibile ciclotimico filo della scrittura. Prigionieri del tempo che dorme in scatole cinesi, ulteriori come matrioske, e delle deterministiche strategie usate dal destino, caso, necessità, o un Dio, perché si giustifichi l'incontro degli uomini, la reciproca corruzione, o magnificazione, il miraggio d'assurgere a verità transeunti, interrogazioni irrisolvibili e, il quotidiano dolore, della perdita o scampo di un paradiso? Però nonostante la unidirezionalità del tempo, il cuore è sempre lo stesso e nulla può affrancarci dalle anidridi dell'anima e dagli ossidi della carne, che si depositano, come vile calcare, sulle ferite vive, o a strati, come preziosa madreperla su difetti, che ci faranno preziosi?