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L'archeologo somiglia al saggio investigatore, che si avvale di un metodo universale e di tanti specifici sussidi. Ma somiglia anche a un direttore d'orchestra, a cui non sfuggono suoni imperfetti di archi, arpe, legni, ottoni e percussioni; o piuttosto a un regista, al quale non sfugge il dettaglio errato di un vestito o l'incongruità di un arredo. Perciò l'archeologia deve trattare tutti gli oggetti e tutte le relazioni fra di essi, includendo tutti i saperi utili. Altrimenti si resta abbracciati al frammento o poco più, come un naufrago al suo pezzo di legno. Perché il titolo La forza del contesto? Perché la vita che sempre si muove e si rinnova ha bisogno di una inclinazione che componga e diriga gli sforzi, i desideri, le speranze. Questa forza può stare non in una cosa singola, ma nell'insieme delle relazioni che alle cose conferisce reciproca attrazione, congruità, significato e valore. Ecco perché quando l'archeologo scava, assorbito nelle caratteristiche dell'oggetto, non deve mai dimenticare le persone vive che lo hanno fatto, anche se il loro nome non è inciso sul manufatto, né deve dimenticare se stesso e la società che lo circonda.