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La Trattativa Stato-Mafia e le sentenze emesse hanno riportato all'attenzione il tema della "contaminazione", evidenziato in diversi dibattiti da studiose/i, giornaliste/i e magistrate/i, invitando a un approccio al fenomeno "più da vicino". A una narrazione a partire da sé e dalla consapevolezza, anche non espressa, di complicità e ambivalenze personali nei confronti del fenomeno mafia. La pandemia ha amplificato le risonanze di termini quali "contagio", "infezione", "contaminazione", non più parole astratte ma inscritte nei corpi, diventate esperienze intime, confermando una verità ineluttabile: che l'idea di purezza, di isolamento, di protezione, di non complicità col sistema in cui viviamo è saltata e siamo esposti gli uni agli altri. Partendo da queste considerazioni, è stato chiesto a donne di diversa provenienza di raccontare la propria esperienza reale o immaginaria. "Non vogliamo concetti o recensioni di saggi; né teorie, se non come risultato contingente del partire da sé. Vogliamo luoghi, date, pensieri incarnati", abbiamo specificato. Non pretendiamo una conoscenza esperta delle mafie, ma aspiriamo a condividere la voglia e il rischio di mettersi in gioco, convinte che nei grumi delle singole microstorie, nelle contraddizioni irrisolte, nelle ambivalenze, è possibile rintracciare radici collettive che, se raccontate e condivise, possono dare esistenza ad altre narrazioni inedite.