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II futuro, se è felice, dovrebbe avere un cuore antico, fatto di fiabe, di miti, di ninne-nanne e serenate, di storie d'amore perdute e di epici duelli, di commozioni e di lutti di fronte al tempo che porta via la bellezza e i nostri cari. Il futuro, se è umano, dovrebbe avere un cuore antico, fatto di memorie, di saperi che conservano l'aroma della terra e del mare, di piccole comunità radicate ma piene di strade su cui, nei secoli, hanno camminato meticciamenti e ospitalità. Il futuro, se è qui, dovrebbe avere un cuore antico, popolato di uomini cantanti e di donne narratrici, che, faccia a faccia, sanno ancora raccontare e tramandare meravigliosi simboli in cui, come in uno scrigno, vive l'Immaginazione, la facoltà che offre alla realtà la possibilità della sua trasformazione. Un futuro così non può essere visto. Lo sapevano i poeti dal cuore antico che celebravano le Muse, le nonnine che, di fronte al braciere, evocavano orchi e streghe, i pescatori che, dopo aver tolto le reti, sospiravano di fronte alle sirene. I loro occhi erano ciechi e comunque non avevano dovuto sopportare slides, web e cloud. Quando guardavano, vedevano i cieli e non gli schermi. Le loro voci così erano più seducenti, malia per le orecchie, legami per i corpi. Tesori umani viventi, la tradizione orale li fa testimoni di una storia notturna, spesso emarginata, ma non meno pregnante di quella ufficiale. E questo libro li omaggia.