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Per un poeta-filosofo come Giacomo Leopardi, in cui il canto, i suoni, la voce occupano un posto assolutamente rilevante, sembra quasi impossibile poter parlare di silenzio, addirittura di tanti e diversi modi di silenzio. Eppure il silenzio in Leopardi rappresenta un momento essenziale di riflessione ermeneutica: su se stesso, sulla propria esistenza e sui propri desideri di gloria; sulla caduta inesorabile delle illusioni giovanili; sulla persistenza, o meglio, sulla provvisorietà della storia, soprattutto quella degli antichi, e dei suoi insegnamenti; sulla natura delle cose, del cosmo e dello spazio; sulla morte e la precarietà degli esseri sensibili (uomini, animali, piante). Infiniti silenzi che mirano tutti, come sempre accade nell'opera di Leopardi, sia in versi sia in prosa, a porre l'umanità di fronte alla propria fragilità e al proprio dolore - "fatali" entrambi - di cui unica responsabile è la Natura, "madre... di parto e di voler matrigna".