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La grazia valeva già in antico come una sorta di realtà aumentata: quando un dio, di solito una dea, versava charis (grazia) sul capo di qualcuno, chi ne beneficiava appariva pienamente se stesso. Questo libro indaga la scoperta della grazia, a partire dal saluto di Nausicaa a Ulisse: un imperativo che ordina di splendere di gioia, come l'augurio angelico a Maria. L'idea di grazia dice la condizione migliore in cui possiamo esprimere la nostra umanità; supera la potenza del desiderio e inaugura la logica del dono. La sua ricca polisemia investe molti ambiti - estetico, giuridico, teologico, antropologico - e ogni volta li trasforma. Attraversa diffusamente il linguaggio, già nella quotidiana ripetizione del «grazie»; concerne la gratitudine, definisce il fascino, restando tuttavia impercettibile, sino alla dimenticanza. Eppure si tratta di un concetto potente che ha caratterizzato la storia della nostra cultura da Omero alla filosofia contemporanea. Sono qui inseguite le tracce ricorrenti di quest'idea che manifesta la trasfigurazione di sé, il più che naturale dell'umano, il nesso di attività e passività nel soggetto vivente.