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Perché, al cospetto delle conoscenze e dei dati scientifici sui cambiamenti climatici, delle prospettive assai preoccupanti, di taluni importanti effetti già oggi osservabili, le risposte politiche sia nazionali sia internazionali rimangono ampiamente inadeguate? Come spiegare il diffuso senso d'impotenza, peraltro trapuntato di fatalismo, nei confronti dei tempi lunghi della politica, soprattutto visti i tempi corti dei possibili disastri su scala planetaria? Non è propriamente ufficio della filosofia indicare vie d'uscita, programmare rimedi, e tanto meno appurare quanto certa e inarrestabile sia la corsa verso il disastro totale. Essa può però pensare gli eventi - le catastrofi possibili, probabili o in corso, concorrenti e interagenti - dall'interno, cioè a partire dalla pensabilità degli stessi. Può valutare la forza o la debolezza persuasiva dei modelli scientifici elaborati per descrivere e comprendere il disastro, la possibilità o l'impossibilità di rappresentarlo e narrarlo, e del pari può mostrare quanto la mera volontà di sopravvivenza sia insufficiente per contrastarlo. In altri termini può tentare di illustrare e comprendere lo spirito delle emergenze e catastrofi che costellano l'esistenza nei due primi decenni del XXI secolo.