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La dizione bene comune, unisce due termini di assoluta pregnanza filosofica, tanto che provare ad introdursi teoreticamente in essa significa far riaffiorare, non soltanto la trama concettuale dei due singoli termini che la compongono, bene e comune, ma l'intenzionalità, tipicamente contemporanea, che ha necessitato la loro unione in un'unica forma sostantivata: il bene comune. Di primo acchito, il tentativo di una ricognizione teoretica di questo concetto, che conia una significazione del termine "bene" intrecciata al suo rimando di "possesso", ma ancor più saldamente radicata a suo originarlo profilo assiologico, sembra scontrarsi con una serie di straordinarie difficoltà interpretative di cui la maggiore investe la possibilità stessa di pervenire ad un suo profilo definitorio. Come intendere, infatti, la ricchezza, ma anche l'ambiguità semantica del sintagma bene comune e a quale spazio poterlo intenzionare? Il testo, attraverso l'ausilio di elementi della teoresi platonica e fenomenologica, prova a rispondere al quesito, non attraverso una rinnovata costituzione concettuale del "bene comune", da affiancare al variegato prisma ermeneutico contemporaneo, quanto attraverso il tentativo di una descrizione fenomenologica della sua stessa esperienza.