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Nell'immaginario collettivo i medici sono persone altamente qualificate e altruiste: la professione rappresenta l'attività più importante della loro vita, sono pronti a occuparsi degli altri, chiunque essi siano. D'altra parte i medici, coscienti delle qualità che la società attribuisce loro, interiorizzano l'idea di essere individui votati al servizio dell'umanità sofferente: difficilmente riuscirebbero a immaginarsi senza il camice bianco e lo stetoscopio attorno al collo. Questo non significa che vivano soltanto di lavoro, che non si dedichino alla famiglia e che non svolgano attività ricreative, culturali e di consumo, ma solo che queste non costituiscono (non dovrebbero costituire) un ambito importante quanto la professione nella loro vita. È realmente così? Per i medici la professione continua a essere l'ambito principale di identificazione. Sono però le motivazioni a essere diverse; ed è proprio in tale diversità che sembra racchiudersi il cambiamento rispetto al passato. Il medico old style - esemplificato dal dottor Kildare - esperto e gentiluomo, che mantiene il giusto equilibrio fra "onore e utile", sembra aver ceduto il passo al medico "scientista" - ben rappresentato dal dottor House che non ha bisogno di sviluppare alcun sentimento empatico con colleghi e pazienti, perché la scienza e la tecnologia gli sono sufficienti a formulare brillanti diagnosi.